venerdì 29 novembre 2013

ultimi

Ultimi per situazione economica, per situazione familiare, per grado di istruzione, per collocazione
geografica; ultimi per la propria situazione sanitaria e/o (molte volte le cose vanno assieme) sentimentale.

Gli ultimi, quelli che non si vorrebbe mai diventare; quelli, insomma, che guardiamo con una espressione che sta in equilibrio precario tra ''povero cristo'' e ''spero di non diventare come lui o lei''.

Eppure la società (o meglio lo status di ognuno al suo interno), lo sappiamo, è molto fluida, un fluido la cui viscosità può essere modulata da chi dirige la società medesima.

                                      Un piccolo inciso in merito: pensate solo all'attuale tendenza,
      da parte della classe dirigente, a  togliere diritti ai lavoratori;
      questo vuol dire diminuire la viscosità del passaggio ad uno
                                       status inferiore (inferiore in base ad uno o più  dei parametri
                                       cui accennavo, sinteticamente, all'inizio del post), vuol dire
                                       renderlo più facile, il passaggio ad uno status inferiore.

A volte è un attimo scivolare indietro. Finire ultimi, ad un certo punto, può essere inevitabile.
Qualche esempio:

1) hai ventidue anni, sei uno studente universitario ed i tuoi genitori si ammalano gravemente.
    Già facevano i salti mortali per farti studiare ma, ora che stanno male, la tua
    priorità è pensare a loro e così i problemi familiari creano problemi economici
    che inficiano il tuo livello di istruzione. Poi magari devi anche cambiare casa
    ed andare a vivere in un posto più economico e dunque con meno possibilità
    lavorative ecc ecc.

Cinicamente si potrà dire che una situazione del genere sia talmente sfortunata da essere rara.
 Va bene:

2) allora al nostro "amico" di 22 anni che vive coi suoi e che studia capita che il padre perda il lavoro a 55 anni. Vi piace di più così?

Oppure:

3) una coppia di trentacinquenni con due figli divorzia; i loro redditi sono gli stessi di quando stavano
    insieme ma, evidentemente le spese aumenteranno. Ecco che la situazione sentimentale si porta
    appresso quella economica.

Infine un classico:

4) laureato, eternamente disoccupato, comincia a fare i lavori ''che capitano'' fino a quando l'analfabetismo di ritorno, dovuto al mancato esercizio di attività affini ai suoi studi,  gli porta via tutta, o quasi, la propria preparazione accademica. (E qui vedo le manine alzate: <<Perchè non va all'estero?>> Dirò cosa penso del fatto che ''bisogna andare all'estero'' in un post apposito)

Cose che succedono, non fantascienza e non necessariamente tragedie. <<Cose che succedono ai vivi>>, direbbe qualcuno. Storie della normalità in cui siamo immersi; storie cui abbiamo fatto l'abitudine; dovute a problemi comuni che, il più delle volte non è possibile prevenire. Va bene, io ci sto: <<non è possibile prevenirli>>: la salute, i sentimenti, le mille "botte" che la vita è in grado di darti sono imprevedibili ed impossibili, a volte, da schivare, da evitare.

Però;

però, c'è un però, che dovrebbe essere grande come il Monte Bianco e lo ripeto: però, magari, è possibile creare le condizioni affinché ci si possa rialzare. Però (sì, un altro), magari (sì di nuovo) si può creare, inventare, sì, uno status sociale minimo al di sotto del quale non si possa andare e che garantisca comunque una condizione dignitosa. Insomma, se so che potrò cadere e non posso prevenire le cadute normalmente cerco di procurarmi delle protezioni che ne diminuiscano o annullino le conseguenze negative.
Penso, banalmente, al casco in motocicletta: il principio è lo stesso. Non vado contro i muri di proposito ma non posso certo prevenire che un ubriaco mi venga addosso passando col rosso.

Una protezione. Una protezione sociale. Un modo in cui la società faccia quadrato attorno ad ogni singolo suo membro contro quanto di più brutto possa accadergli nella vita.
Non sarebbe bello?  Immaginate che nessuno possa essere ricattato dal proprio datore di lavoro con orari impossibili (penso a coloro che lavorano tutte le domeniche), con straordinari non pagati, dovendo timbrare ''uscita'' addirittura prima di fare lo straordinario, o dovendo firmare una busta paga più alta della paga percepita.
Immaginate che ognuno avesse coscienza del fatto che la sua dignità non è, nei fatti, in alcun modo offendibile o negoziabile.
Immaginate, ancora, che in una coppia monoreddito (per scelta o meno) quello o quella dei due che non lavora abbia in animo di interrompere quella relazione ma che sia frenata dal fatto che, non avendo reddito, non saprebbe ''dove andare a sbattere la testa''. Non sarebbe bello se potesse fare questa scelta con serenità sapendo che non gli mancherà un tetto sopra la testa ?
Immaginate - sì lo so, c'è da sforzarsi qui - che ognuno sia libero di fare le proprie scelte senza ledere gli altri e senza ledere se stesso.

Sarebbe una bella cosa, vero? E allora la mia prossima parola sarà una frase: ''Sarebbe bello se...''